Il processo creativo in terapia

Non esiste una seduta standard né un modo di intervenire preordinato, esistono piuttosto le teorie che come dice Zinker stanno in “incubatrice” e possono emergere al momento giusto, attraverso l’esperienza nel qui ed ora e attraverso tutto il complesso processo di relazione contingente. Quando il terapeuta apre la porta e accoglie il suo paziente, accoglie con lui tutte le esperienze che gli porta, adattando la sua sensibilità da una parte e la sua capacità intuitiva a un momento che per il paziente molto significativo. Il contatto tra i due fa sì che si attivi un processo che porta dal racconto di un evento, all’esperire l’evento stesso, attraverso ogni livello e risorsa attivabile nella persona (che sia la metafora o che sia il movimento corporeo), mobilizzando in questo modo l’energia al fine di focalizzare l’attenzione sull’esperienza significativa, che in quanto tale coinvolge entrambi gli elementi della coppia.

C’è un passaggio di "materiale" che può essere assimilato in un tempo che corrisponde al tempo della terapia, in un reciproco adattamento e aggiustamento di energie.

Tutto ciò che si attiva all’interno della seduta terapeutica è un’esperienza creativa, parte di un processo creativo. Usare creativamente il materiale presente in terapia vuol dire avvicinarsi ai reali bisogni che il paziente porta e rimanere in contatto con essi, trasformandoli in materiale nuovo e più modellabile. L’esperimento diventa “un’opera d’arte” quando questo fluisce naturalmente e sia il paziente sia il terapeuta godono della soddisfazione di un’esperienza vivificante. Come dice Zinker: “io associo l’eleganza con la chiarezza e la lucidità dello scopo: il paziente sente che il lavoro è attinente al suo problema e il terapeuta ha chiaro in mente l’obiettivo dell’esperimento e che cosa sta cercando.”

Certo, un esperimento nasce in un momento particolare del lavoro terapeutico e non è detto che sia sempre così immediato il ricorso all’esperimento. E’ necessario infatti un tempo fondamentale in cui si crea l’accordo e diventa evidente e coerente l’affrontare ad un livello “analogico” alcuni vissuti. Il terapeuta in questo senso deve essere capace di riconoscere il momento, di adattarsi a ruoli e vissuti che favoriscono le proiezioni, ma allo stesso tempo deve tenersi vigile sul processo e cogliere il momento di realizzazione dell’azione.

L’apertura e la chiusura dei confini personali durante l’interazione terapeutica prevede che nel rapporto i due soggetti della coppia siano in una condizione “dialogica”, che prende a volte le caratteristiche del buon contatto, altre volte mostra invece i suoi aspetti conflittuali. Stare nella relazione vuol dire riconoscere le forze in gioco, che caratterizzano il contatto e fanno da specchio alle molteplici dimensioni della vita relazionale “reale”. Vivere un contatto diretto e completo vuol dire spesso entrare in una dimensione di esperienza “altra”, dove si sperimentano e si trasmettono sensazioni ed emozioni intense.

Nel corso della storia della pratica terapeutica questa forma di esperienza emotiva, vissuta dai due elementi della relazione terapeuta/paziente, ha acquisito tutta una serie di significati che in qualche modo sono serviti a dare una definizione della relazione stessa. Si parla di empatia, di sintonizzazione o ancora di risonanza, di transfert/contro-transfert. Tutti concetti che esprimono comunque la natura volontaria del venire influenzati dai vissuti del paziente, per riuscire ad entrare nel suo quadro di riferimento emozionale. “La risonanza, è quella esperienza interiore del terapeuta in cui egli co-sperimenta e quindi sente, soffre, gioisce e comprende insieme al paziente seppure in forma ridotta”.

La Gestalt Psicosociale ha elaborato un modello di osservazione dell’esperienza basato sulla relazione, che si distingue dal classico modello dei bisogni di Zinker, proprio perché focalizza l’attenzione oltre che sul bisogno di avanzare (ad-grèdere) dell’individuo nell’esperienza, anche sulla capacità dell’individuo di assimilare l’esperienza e quindi fare i conti con il suo ambiente (re-grèdere). Quest’evoluzione considera dunque il contesto o meglio l’altro come elemento di relazione da una parte ed evoluzione integrabile dei bisogni dall’altra.

Attraverso questa nuova griglia di lettura è possibile osservare meglio ciò che avviene durante il lungo processo terapeutico.

Per spiegare, infatti come avviene un processo creativo, attraverso l’esperimento, non si può non considerare tutto il lavoro preliminare nella relazione che a volte accompagna, a volte precede il vero e proprio esperimento. Provare ad integrare, osservando sia i livelli di attivazione e il sia il passaggio dal processo di relazione al processo creativo, integrando i due momenti in un continuum di cui il terapeuta deve comunque essere consapevole. Come se si trattasse di integrare più piani di osservazione e insieme di esperienza tra terapeuta e paziente.

E’ come se l’esperimento e l’esperienza creativa si incastonassero all’interno del continuum relazionale, fatto di appartenenza e differenziazione. Incastonare l’esperimento in questo senso vuol dire inserire un elemento di novità, inteso più come un allargamento delle prospettive di realizzazione di sé per agire efficacemente nell’ambiente, che un puro apprendimento.

Eppure, come sottolineato dalla Gestalt Psicosociale è proprio nella fase del re-grèdere che si evidenzia la capacità di assimilazione di un’esperienza. Ovvero quel giusto momento di ritiro con “la possibilità di aggiustare e cucirsi addosso tale realtà”. L’ambiente rende l’esperienza reale ed è necessario "un tempo X" per assimilarla ed adattarla alla propria identità.

Molta della letteratura e pratica psicoanalitica ci ha parlato infatti della strutturazione di un rapporto che lavora proprio su questi elementi della relazione, definiti con i termini di transfert o controtransfert a seconda della direzione dei vissuti. Paziente e terapeuta lavorano ad un livello definito “come se”, delimitando così la natura comunque fittizia del rapporto che si viene a creare.

Petruska Clarkson pone l’accento proprio su tutti quegli elementi che stanno un po’ al di fuori della relazione più strettamente transferale e che, come spiega, vanno tenuti presenti poiché influenzano spesso in modo collaterale il cambiamento della persona. “E’ dunque importante tenere presente cosa la persona apprenda nello studio di consultazione, anche in quanto sappiamo che il massimo apprendimento deriva spesso dallo stile, i modi, gli scherzi, gli elementi collaterali, le cose non dette, l’atmosfera e il contesto. Se tutti i dettagli personali vengono evitati con modi imbarazzanti, il cliente impara soltanto ad essere guardingo verso l’intimità.”  

A questo proposito la Clarkson parla di “relazione reale”, attraverso la quale istaurare il buon dialogo da persona a persona e raggiungere il contatto, con tutte le differenti modalità peculiari ad ogni forma di relazione terapeutica. Questo vuol dire che ogni paziente ha una sua personale modalità di mettersi in relazione e che di volta in volta il terapeuta sperimenta la complessità del contatto, ogni sua modalità di interagire; affinando così ogni volta il suo strumento, calibrandolo rispetto alla nuova matrice di rapporto. E’ come dire che il terapeuta deve essere un tecnico del contatto.

E’ evidente che non si tratta più soltanto di entrare in sintonia con la persona, ma piuttosto di riconoscere oltre alle parole i contenuti della relazione nel suo essere genuina, da persona a persona.

Permettere che i propri confini personali vengano avvicinati e penetrati determina il passaggio dall’essere individui separati a sperimentare l’unione, la fusione. E’ un momento di forte eccitazione, di mobilitazione emotiva. E’ anche un momento di rischio; si avverte infatti la paura di perdere, nell’intensità della fusione, il senso di essere indipendenti. “Al momento dell’unione, il senso più pieno della propria persona sfocia in una nuova creazione. Non sono più soltanto me stesso, ma io e tu siamo ora noi. Sebbene diventiamo noi soltanto nominalmente, rischiamo, attraverso questa denominazione, le nostre identità rispettive: tu e io possiamo dissolverci.”

Questo aspetto di confluenza, però, se accettato da ognuna della figure in azione sposta inevitabilmente il contenuto del rapporto su altri livelli esperienziali, quelli della metafora, del simbolo, del sogno, del contenuto inconscio, per ritornare in un secondo momento verso un altro livello di realtà che è “la stanza” di terapia, il setting, la relazione. E’ qui che tutto viene ridimensionato e si ritorna ognuno al proprio posto, al ruolo predeterminato. E’ questo il momento in cui si avverte l’asimmetria del contatto e il richiudere i confini personali, esperienza che può non sempre essere piacevole e soddisfacente. Ma è solo attraverso le esperienze di apertura e chiusura che si struttura un rapporto e si determina il passaggio di contenuti consapevoli che vanno comunque elaborati nel qui ed ora, poiché solo nel qui ed ora hanno la fortuna di essere osservati “dal vivo”.

Il paziente porta, con la sua carica di ansie, paure e frustrazioni (più o meno esplicite), il materiale che riguarda i vissuti, le relazioni, i conflitti. E’ uno sfondo molto complesso e caotico, in cui a stento si evidenziano elementi focali, luminosi, poiché spesso sono nascosti. Il venire in figura di un bisogno o meglio di un vissuto porta con sé un corredo di emozioni ed espressioni fisiche che hanno un valore, appartengono alla persona; a volte la caratterizzano.

E’ la persona che, dal mondo indecifrabile delle emozioni, affiora rendendosi più visibile. E con l’emergenza il vero sé entra in figura e preme per essere legittimamente riconosciuto.

Focalizzare l’attenzione su elementi in figura credo che sia uno dei passi fondamentali per procedere nella rivelazione del processo. Processo, che intende nel suo dispiegarsi proprio un movimento, il procedere. Eppure questo procedere porta con sé molte resistenze poiché la persona vive nel suo contesto e del suo contesto si nutre, e questo non lo si dovrebbe mai dimenticare.

E’ importante considerare sempre il senso adattativo delle resistenze come elemento della struttura da una parte e dall’altra come possibilità di osservazione e previsione del rapporto che lentamente si definisce.

“(La) resistenza non è una barriera sorda da rimuovere, ma una forza creativa la cui funzione è quella di gestire un mondo difficile”.


 Il processo creativo

Nel metodo che propone Zinker è interessante l’aspetto pragmatico dell’attivazione di un esperimento attraverso le sue fasi: preparazione del terreno, il consenso, la gradualità, la consapevolezza, l’energia, il punto focale, lo sviluppo del tema, la scelta dell’esperimento e infine l’esperimento con il suo livello di insight e le difficoltà o come li chiama lui “blocchi” che spesso intervengono contro l’esperienza creativa da parte non solo del paziente, ma anche del terapeuta.

La fase preparatoria credo che sia fondamentale nell’attivare un esperimento. Si tratta di una sorta di riscaldamento che parte dalla presa di contatto iniziale con lo sfondo ed il materiale fertile che da esso scaturisce… un atteggiamento, una modalità nuova, il modo di respirare, il girare intorno all’argomento, ecc.

Si arriva così al consenso, che diventa anche una possibilità per sondare alcune aree altrimenti poco sondabili. E’ con il consenso che diamo alla relazione la qualità dello scambio o del contratto. Un tempo per il gioco, un tempo per il lavoro. Questa forma di transazione permette di mantenere fluido il processo nel corso dell’incontro terapeutico.

Per quel che riguarda la gradualità, Zinker ha formulato una modalità lineare di osservare quando un esperimento può essere adatto al livello di funzionalità del paziente. A questo proposito Z. parla di sovradimensionamento o sottodimensionamento dell’esperienza.

Si tratta di valutare quanto un esperimento può essere efficace in quanto adatto alle risorse del paziente. Parlare “esclusivamente” del dolore che una situazione affettiva deludente ha provocato, rimanendo in un ascolto empatico anche se nelle prime fasi è fondamentale, può risultare sottodimensionato se si pensa all’evoluzione terapeutica. Del resto mettere subito una persona difronte alla “sedia vuota” (tecnica tipicamente gestaltica), potrebbe dimostrarsi sovradeterminato, se non si sono ancora attivati altri canali di comunicazione come per esempio quello metaforico e proiettivo.

Il livello di consapevolezza nel corso della terapia è fondamentale per attivare un esperimento. Il processo nasce proprio nel momento in cui alcuni elementi vengono in figura con i relativi stati emotivi come, sempre in riferimento alla delusione amorosa, la paura di rimanere da soli oppure al contrario la ritrovata libertà d’azione dopo anni di chiusura.

Il livello di energia è localizzato sul corpo, sulle sensazioni che diventano espressione del volto, la voce che varia al variare delle condizioni attivate e le braccia che si aprono e si chiudono. Questo diventa il punto focale, nel rispetto delle capacità di auto-sostegno della persona (che rimanda al dimensionamento dell’esperienza).

Il tema viene fuori dall’osservazione e da una teoria che fino a quel momento era rimasta in “incubatrice”, che può avere la sua conferma sotto forma attiva con la rappresentazione delle polarità appunto. Le due poltrone e il materiale presente rappresentano il nuovo setting su cui mostrarsi ed agire dal vivo, nel qui ed ora. Nel caso del racconto “l’albero di melograno*” (di seguito riportato in formato audio), il tema nasce dal racconto di una donna che porta addosso i segni di una malattia muscolare degenerativa e che attraverso la metafora, quella dell’albero di melograno riesce a descriverne l’evoluzione.

Per quel che riguarda l’insight (così come lo chiama Zinker) credo che avvenga in differenti momenti, nel corso della seduta e fuori della seduta, a seconda delle capacità di assimilazione e ritiro che il paziente può avere. L’assimilazione che prevede l’accostamento all’esperienza sotto forma di - accettazione che il diverso da me possa diventare me -. L’integrazione che prevede una sorta di corrispondenza armonica dell’esperienza con le parti organizzate del sé. Il che vuol dire, riconoscere attraverso l’esperienza di aver acquistato nuove potenzialità finora ignote e che possono essere espresse per potenziare il sé.

Nella fase di identità il mutamento determinato dall’insight è il definitivo assestamento in termini spazio-temporali di una nuova acquisizione personale. Il passaggio per esempio dalla sensazione e consapevolezza di un’enorme ferita (la malattia), alla nuova consapevolezza rinforzante di essere comunque molto resiliente e poter affrontare numerose altre sfide nel corso del tempo (come nel caso de “l’albero di melograno”).

Credo che in fondo sia questo il modo per aprire prospettive diverse di stare al mondo, sicuramente più creative.Si tratta pure di una qualità nuova di astrazione dall’esperienza diretta attraverso l’esperimento, adeguata alla realtà.

E’ vero però che solo attraverso la continuità terapeutica è possibile mantenere attivo il contatto con queste variazioni e osservare il passaggio ad altre sempre più significative esperienze.